Sui rischi derivanti dal sisma in Italia siamo in ritardo e i Comuni non aggiornano i Piani di Emergenza

Il 23 novembre 1980 un terremoto di 6.9 magnitudo sconvolse la provincia di Avellino e la Lucania, provocando poco meno di 3 mila decessi e danni per 26 miliardi di euro. I successivi eventi sismici accaduti in Sicilia, Umbria, Marche, Molise, Abruzzo, Emilia Romagna e ad Ischia ci indicano che il tema della prevenzione non può essere più rimandato dalla politica. Quasi la metà della Penisola ricade in area ad elevata pericolosità sismica, Molise incluso.
Per limitare i danni in caso di scosse telluriche – fanno notare i geologi – è necessario mettere in campo una serie di azioni finalizzate a ridurre il rischio. Innanzitutto intervenire sul vecchio e vulnerabile patrimonio edilizio, spesso costruito in assenza di specifiche norme sismiche. Prima di realizzare nuove costruzioni occorre rispettare la normativa sismica e valutare la pericolosità del sito sul quale si costruisce il fabbricato, accertando sia la presenza di fenomeni di instabilità che di amplificazione sismica.
Dal punto di vista tecnico sono stati fatti progressi, oggi si progetta in maniera accorta mettendo al primo posto la salvaguardia della vita umana. La protezione civile è sempre più efficiente; gli studi di microzonazione sismica vanno avanti, ma ancora molte amministrazioni locali pur essendo dotate di un piano di emergenza non lo aggiornano.

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