USB Molise: La festa del 1 maggio tra pericoli per la salute e precariato

“Facciamo del Primo Maggio il punto limite della nostra pazienza. La fine della nostra pazienza è un dispositivo di protezione di massa”.

Sono le parole che usano le varie componenti di categoria dell’Unione Sindacale di Base del Molise, quando affrontano alcune considerazioni relative alla Festa di domani del Primo Maggio, una delle due feste civili italiane, l’altra è il 25  aprile, che da sempre è dedicata alle tematiche del Lavoro.

Un termine che acquisisce in sé significati importanti, che il lavoro è alla base dello sviluppo e, perciò, del futuro di ogni persona.

Ma è innegabile che, come affermano in una nota i dirigenti dell’USB, Sergio Calce, Rossella Griselli e Giuseppe Pavone,  “il Primo Maggio dei nostri tempi suscita modeste discussioni, soprattutto perché con questa parola, il lavoro, nessun o sa più cosa fare, cosa dire, persino cosa pensare”.

Una parola diventata, nel tempo, scomoda e complessa, avvolta quasi sempre da precarietà, accostata a termini di sostegno, quasi un obolo per la sopravvivenza, lavoro mai stabile, mai veramente sicuro, ma per lo più votato alla pericolosa equazione del solo profitto.

“Non a caso” – affermano i sindacalisti – “da molto tempo, la celebrazione nazionale della ricorrenza consiste in un concerto e non in una manifestazione politi ca che richiederebbe una piattaforma, un’elencazione di priorità, obiettivi rivendicativi chiari dei quali c’è scarsa traccia nei sindacati del padrone, come ne le loro controparti. Non c’è più conflitto. Non c’è più contesa. Non ci sono pi ù idee oltre a una sommaria manutenzione dello status quo e all’affidamento di generiche rassicurazioni”.

Un gioco perverso, aggiungiamo noi, che oggi nella dimensione delle chiusure e d elle distanze, aumenta a dismisura, colpendo un po’ tutto il sistema, tagliando diritti, facendo misere concessioni per evitare ogni eventuale problema, scegliendo strade discutibili ed a volte perfino delinquenziali, dove vige il ricatto e d una forte filiera di arroganza, dove l’impiego lavorativo viaggia in sintonia con la volontà assoluta di chi assume, spesso a paghe ridotte e con lettere di dimissioni già pronte per risolvere ogni rapporto.

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